La rassegna teatrale NIN – Nuove INterpretazione Ed. 2017 è giunta al termine. Abbiamo attraversato sette giorni molto intensi, ripagati da un pubblico davvero numeroso, affezionato e caloroso. Le emozioni sono state moltissime ed enormi, e vogliamo ringraziare davvero ogni persona che ha contribuito alla buona riuscita di questa rassegna. Dai performer che si sono susseguiti per tutti i setti giorni, ai raggazzi del Liceo che ci hanno dato una mano nell’accompagnare il pubblico tra i vari padiglioni in cui avvenivano spettacoli e mostre. A tutti coloro che hanno messo anima e corpo nel mostrare il proprio lavoro. A color che ci hanno fatto visita, a coloro che ci hanno regalato un sorriso, un applauso, una critica. A tutti voi, grazie.

Per dare senso a questo nostro enorme grazie, vi vogliamo fare un ultimo regalo. Un regalo che è stato fatto a noi da un amico. Lui, che ci ha donato le sue parole, le sue impressioni, le sue emozioni. Stefano (Giuntini) ci ha regalato “Stendardo”. Sei meravigliose poesie che vogliamo condividere con voi.

Il nostro miglior modo per esprimere la nostra riconoscenza

Arte e vita

Sentinelle dell’onirico castello
srotolate lo stendardo,
inondate di ametista e lavanda
la viola corte di passanti affamati
Battete tamburi, soffiate le trombe,
nutrite le anime con arte e vita

Gridate: «Terra!»
Cadranno quadri, cadranno sassi,
condurremo navi, ghermiremo treni
Dentro borse in danza
ameremo
Finiremo a guardare le stelle chiare
appese a empirei che ogni uomo
prega per abili sogni

Ammaliate il fuggevole
cosmonauta, di giorno in giorno
in orbita a svelare volti e canti
di umane identità senza contorni
Perderemo
il sonno e lucida ragione per suoni
e curve empatiche come
ematiche intuizioni

 

Viandanti affacciati

Viandanti affacciati,
in fermento, si arrampicano tosto
su lunari declivi bagnati
dal giorno che muore in fortezza
Ancora sventola lo stendardo
e risacca con tendoni cubisti
di porpora e biancore
mette in cerchio affabili astanti

Emerge l’isola di Ea
al centro del cortile, e passi di canto
alla giovane Circe prepara
Si scaldano gli algidi spiriti
per sinceri amanti,
pentole suonano rumori di strade,
e di corpi in corpo, mani su mano
sono prominente contraltare

Sfilano solide statue
di ocra di nero, di bianco e petrolio
lungo circuito che sconfina
Cattura, dissesta, sbilancia
i viandanti affacciati
sul Parnaso dei sopravvissuti
Svettano e pietre alle spalle lanciano,
per generar guerrieri dell’amore

Come meteora

Terza notte, terza rotta
di veleggiante imbarcazione
che batte stendardo
con domestico focolare
Echeggia rimbombo
di corpi intagliati in opachi loculi,
su cornici farinose appoggiati

Come meteora in anticipo
che passa due volte, sfila
sudore gocciolante di spaccati
e universali confessioni
e libertà di amare e verità di amore

Come meteora passano
incomprensibili stroboscopiche luci
Dolci danze in fratte vegetali
uomo e lieve donna intonano
per mirifiche salature sotto lunula

Come meteora inopinata,
desiderata su prati-casa umidi,
prorompe canto e lamento di valchiria
acceso per sfuggire e agognare
capelli appesi e gambe di chi vede

 

Accese

Frontalieri di stati di sogno,
sibille di spugna e druidi di calce,
stendete pellicce su linee di corte,
aprite le acque di inediti racconti,
lasciate oggetti, scrivete prosa in versi,
trascinate l’onda di nuove anime

Accese candele
combattono un santo oblio, stracciato
da simboli terrestri e adiacenze
a scatenar rivolte di pietre salvifiche
a sciorinar silenzio e famelica presenza
a perpetrar rituali di memoria e lamento

Accese membra
fluttuanti, intreccianti nastri rossi
che figure alterne e movenze
e segni di volto soffiano in palchi corvini,
protendono drammi di guerra
verso invocanti invocati astri viola

Accese vernici
saltano in forza di creature rupestri,
scoppiate come bengala riflettenti
piume titaniche svettate e presagio
di fanciulla nascosta sotto i panni
trascinati per dono di visitatore

Si schiude ancora
lo stendardo
in questa notte
di frontalieri, sibille e druidi

 

Comodo

Sbucciar involucro di cipolla
come stanze dell’umano,
mangiar parole e ricordi,
lamenti di docili arcate
sfoderate in notti che ascendono,
bere alla fonte calda da cui sgorgano
corpi e teste, gocce
di oceano-essere che mai, qui,
si prosciuga

Elevar stendardo, ancora,
scardinar portoni e cancelli
di rimessa di vascello
(non) pronto a disincagliare
questa comoda ancora ferrosa
Compatire un capitano in proscenio
che mozzo e donna
offendono, difendono dal mostro
romantico

Approdar in mari d’Oriente,
respirar gelsomino, e tormenti
che in mano fioriscono
Raffinato, occhi stretti, per strade
lui errante di immacolato sentimento
per comodo divieto annientato, dato,
lei periglio e approdo
Condurre all’arrivo la Storia,
eppur partire

 

Tornate e restate

Farraginoso ammaliante concerto
intonato in scuotimento di familiare stendardo
suona attraverso grate
malcelanti follia di palpebre sfumanti

Corte viola si tinge di porpore
sudate, e odore di anime smosse come fosse
di linfa che scorre greve
intreccia sponde e braccia e pupille

In principio Eros, ma in viaggio
espande amore di padre, amore di prole,
amore di ciclopico canto,
amore di eroi, amore divino, amore

Stringono corde, stringono gole
e mani che suonano muliebre vibrante lenzuolo
avvolto su capo di uomo
come offuscante credenza di stasi

Torna a casa, tornate e restate
a godere questo essere Ulisse in eterna ricerca
di fermento aromatico
Tornate e restate, anelate respiro

Tornate e restate a vivere
Innamorati, tornate e restate

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