L’Eremita contemporaneo trae ispirazione dal diario di un operaio dell’ILVA di Taranto e dalle testimonianze di alcuni operai, intervistati dalla compagnia, che lavorano nella stessa fabbrica, per incontrare i testi poetici di Luigi di Ruscio e Peter Schneider.
Lo spettacolo è il frutto di un accurato lavoro di ricerca e di sperimentazione fisica e vocale sul rapporto tra organicità del corpo e inorganicità delle azioni legate al lavoro in fabbrica attraverso il quale emerge una critica all’alienante sistema di produzione contemporaneo che trasforma l’essere umano in una macchina artificiale, un corpo allo spasmo che si muove per reagire al processo di “brutalizzazione” imposto dalla società. L’attore spinge il proprio corpo all’estremo attraverso funamboliche sospensioni, azioni acrobatiche e ripetitive, interagendo continuamente con suoni che diventano ritmi ossessivi e che si trasformano in musiche eseguite dal vivo, in cui le note si intrecciano col canto di una voce femminile che gli ordina “Lavora! Produci! Agisci! Crea!”. L’eremita contemporaneo insegue così una salvezza impossibile, nel tentativo di sentire la propria carne calda.
– Progetto di spettacolo vincitore del bando OFF X 3 2010 di Spazio OFF, Trento. Per l’ambiziosità e la complessità del progetto, e per il linguaggio teatrale fortemente contemporaneo e contaminato con altriregistri espressivi.
– Progetto di spettacolo vincitore del bando Kilowatt 2011 Selezione Visionari.
– Spettacolo selezionato allo STOFF Stockholm Fringe Festival 2012.
Recensioni
Spettacoli allo STOFF di Stoccolma Stefania Iannella per Art’Empori, 22 settembre 2012, STOFF Stockholm Fringe Fest, Stoccolma […] L’eremita contemporaneo rappresenta l’alienazione dell’operaio torturato e usurato senza pietà dal ritmo di produzione, ma ricorda anche gli operai morti sul lavoro. In quest’ultimo caso è l’Ilva di Taranto la principale assassina. La sceneggiatura si basa particolarmente su dei testi della moglie di un operaio morto all’Ilva e su quelli di altri operai, alcuni dei quali definiti dei veri e propri “poeti operai”, come Luigi di Ruscio (Fermo, 1930 – Oslo, 2011). La brutalizzazione è talmente totalizzante da rientrare perfino nell’unico momento di “pace” che dovrebbe essere assicurato ad ogni individuo: il sonno. “Ho sognato che eravamo vivi, resuscitati, non più contaminati dalla sporca morte”. Eppure anche momenti di temporaneo sollievo come questo vengono straziati da incubi invasi ed “esplosi” dall’assordante sirena della fabbrica. L’alienazione da lavoro è detta soprattutto quando l’individuo non si riconosce più ed esclama incredulo: “questa qui non è la mia faccia!”. Tuttavia il ritmo di produzione, dato dai movimenti meccanici delle stesse braccia e gambe dell’operaio, continua a scandire il tempo della rievocazione […]
Intenso ed estremamente musicale Thomas Olsson per Nyheter, 27 agosto 2012, STOFF Stockholm Fringe Fest, Stoccolma Uno dei momenti più intensi dello Stoff si verifica quando l’operaio, interpretato da Nicola Pianzola, in una sequenza dello spettacolo L’Eremita Contemporaneo finalmente va verso la luce solare, ma per rendersi conto di quanto sporco sia il suo corpo e quindi si allontana nel buio. E’ la compagnia teatrale Instabile Vaganti che racconta l’alienazione e come i lavoratori industriali percepiscono la loro situazione attualmente, con una rappresentazione visivamente e fisicamente intensa. Anche se la lingua è per lo più in italiano, non si può confondere l’atto ripetuto in modo maniacale che accompagna le parole “produzione”, “lavoro”. Un one man show in cui la musica eseguita dal vivo rappresenta però una parte fondamentale dello spettacolo.
Il corpo parla in una performance Italiana Bjorn Gunnarsonn per Halland Posten, 21 agosto 2012, Atran, Svezia La musica è combinata a proiezioni di immagini sul pavimento che seguono il ritmo dei i movimenti del corpo per generare una performance di teatro fisico che richiede un grande sforzo muscolare, di grande forza espressiva e intenso coinvolgimento. La scenografia consisteva solo in una scala, che ruotando si trasforma in una gabbia, ed un elmetto da saldatore. L’aspetto fisico è più che enfatizzato, il corpo acrobatico di Nicola Pianzola è spinto al limite, il lavoro è di grande maestria quando l’attore contemporaneamente fluttua correndo nell’aria, recitando i suoi versi, sorretto dalle sue braccia senza mai rimanere senza fiato. Il tema potrebbe essere stato scritto da Karl Marx: la mancanza di libertà del lavoratore industriale e l’alienazione come risultato della monotonia che abbruttisce, lo stress disumanizzato e la subordinazione sotto le richieste di efficienza. Lavorare, produrre! Questo è come il comandamento che diventa il ritornello. Come un moderno Sisifo, il lavoratore è schiavizzato dalla macchina e costretto alla ripetizione senza fine dello stesso schema. L’agitazione e la stressante richiesta sono così forti che l’uomo crolla. Il corpo è tormentato anche durante la notte e non riesce a dormire. Le suggestioni drammaturgiche da cui lo spettacolo trae ispirazione derivano dai lavoratori del settore siderurgico trasformate in teatro fisico da Instabili Vaganti. Lo scenario industriale è stato creato dall’accompagnamento di tastiere elettroniche con un mix di sonorità meccaniche e rimbombanti di suoni, rafforzato dalla canzone. La canzone fa un’impressione sacrale e qui rappresenta anche la scena di salvezza dove il tormentato ed esausto lavoratore vede la luce in alto. Se questo è religioso o no, non lo posso decidere, la mia comprensione della lingua italiana non è così avanzata. Ho scelto di vedere l’illuminazione come profana, come una speranza che dice che nessuno deve essere schiavo come in una “ruota da criceto” e che ognuno può liberare se stesso dall’etica dolorosa del lavoro e svilupparsi come individuo indipendente. Nonostante le lacune nella comprensione della lingua italiana, l’espressione della gestualità è così severa e forte che ne cogli lo spirito. Instabili Vaganti lascia parlare il corpo e il linguaggio del corpo è universale.
L’eremita contemporaneo: biomeccanica operaia, degna di applausi – Alessandro Toppi per ARTEATRO, 16 dicembre 2011 Studio teatro, Napoli Come far avvertire, alla pelle di chi osserva, il fastidio del tanfo di fabbrica? Come far avvertire, della fabbrica, il massacro di membra, lo sporco dell’olio, la cacofonia strumentale? Come far avvertire la fissità dell’orario, la ritmicità spappolante, il degrado che afferra un corpo operaio e lo riduce a brandelli strofinandolo fino a farne carcassa? Come far avvertire cos’è una catena di montaggio, quali effetti produce, che cosa lascia a chi resta, a chi vi sopravvive ammuffito, a chi vi si è consunto alle mani, ai piedi, alle gote; nel piccolo fosso tra le gote e la bocca, della bocca le gengive, i denti, la lingua e poi s’è consunto all’addome, alla schiena, alla cassa toracica, tra costola e costola, tra giuntura e giuntura dove si piegano i gomiti, le ginocchia, la testa? Come far avvertire cos’è un uomo di cui conta solo la produzione accertata e accertabile, il numero di pezzi prodotti, il conto di fine giornata – giornata dopo giornata – cui corrisponde adeguato e inadeguato salario? Di questa bruttura ch’è già Tema e Contenuto ampiamente narrato L’eremita contemporaneo offre Forma diversa, altra, possibile facendosi momento presente.Nello spazio vuoto di Studioteatro non c’è che un trespolo in metallo, una striscia‐tappeto di plastica fissata per terra e, fra trespolo e striscia‐tappeto, una scaglia lucente che visualizza l’immagine di un rudere d’impianto industriale. Il trespolo sarà: rappresentazione ondulata di un’insofferenza intestina, avvento per crollo del crollo dell’uomo, avamposto su cui poggia l’essere perso. E sarà: fabbrica, suoi corridoi, sue ciminiere; fabbrica, suoi macchinari, sue grandi vetrate; fabbrica, suoi operai, sue vittime scelte. La striscia‐tappeto sarà: giaciglio, anfratto, angolo putrido. E sarà: la soglia di casa alle sei del mattino; la strada compiuta verso il gran mostro, l’entrata condotta tra le pareti del ventre ferroso; e sarà turno, rullìo, ritmometrìa; trasporto meticoloso di spasimi, scansione prosodica di gesto e parola, pedana per una danza meccanizzata e ossessiva. Il trespolo e la striscia‐tappeto saranno l’inferno che oggi è dimentico e che assume rilievo solo quando i corpi si bruciano (Tyssen), quando sono costretti a chinarsi (Pomigliano), quando s’intossicano crepando a linfomi (l’ILVA di Taranto). L’inferno è una demonìa, una demonìa è il corpo d’attore ch’è da Forma al Teatro. Nicola Pianzola, unico in scena, fa campionatura d’impulsi, di fremiti e mosse d’automa: ora guizza da trottola, ora batte geometrico, ora s’attorciglia in un grumo che si trascina fetale come sagoma mobile. Ora ritma in sequenza talloni‐gomiti‐mani‐spalle‐nuca‐parte bassa di schiena; ora disegna eliche e sfere ed ellissi vorticando la parte destra del fisico; ora sale e scende, risale e riscende, risale e riscende, risale e riscende l’interno del trespolo divenuto interno di fabbrica. Ora sulla fabbrica siede, ora dalla fabbrica cade, ora nella fabbrica muore. Ora dalla fabbrica – chi rimane, chi vi sopravvive – è respinto: una, due, nove ripetute di corsa, le mani afferrano i lati della montatura in metallo mentre una spinta di gambe rende, a mezza altezza, un corpo che vola: all’aria ogni rivendicazione possibile. Biomeccanica contemporanea, evoluzione ulteriore del «taylorismo» americano e della «proizvòdstvo» (ovvero: «produzione») sovietica, rende lo spazio vuoto di Studioteatro, per momenti presenti, un laboratorio di movimenti meccanici, di leve e ingranaggi attraverso tensioni, rotazioni ed espansioni del corpo, del corpo il suo battito, del battito il fiato. «Interprete qualificato» ne avrebbe detto Mejerchòl’d. Ma noi preferiamo l’aria pulita, leggera, respirabile per quanto ammorbata di ruggine, di polvere, di cancrena e putredine. Forma che avvampa per compendio metronomo (a tratti è raggiunta la celerità campionata della disco coeva) L’eremita contemporaneo funziona ed avvince per la tachimetria attoriale, per l’attoriale precisione podistica, per la serialità degli atti fisici, grafici e riflesso logici. Plauso va fatto ad Instabili Vaganti, alla regia di Anna Dora Dorno, alle musiche compiute sul posto di Andrea Vanzo e, soprattutto, a Nicola Pianzola: tra le membra e la mimica, l’immaginosa arditezza di una nuova Forma teatrale, diversa e possibile. In uno spazio vuoto un momento presente: L’eremita contemporaneo è stato un soffio d’aria pulita.
International Workshop Festival PerformAzioni Marta Ragusa per Scuccoacido.net, 10 Aprile 2012, Bologna […] Nell’epoca in cui le fabbriche chiudono e il mestiere di operaio sembra estinguersi o, comunque, perdere l’alone di tragicità e mito che aveva fino a qualche anno fa, sembra anacronistico ritrovarsi ad assistere a un lavoro come questo. Su una scena spoglia e scura si staglia solo una scaletta di ferro appoggiata su una fabbrica proiettata in video bianco e nero. E un operaio, succube dei tempi incalzanti della catena di montaggio, protagonista di una vita non sua, di un tempo scandito da ore che non gli appartengono. E invece, L’eremita contemporaneo, nato dal progetto internazionale LENZ e parte integrante di un nuovo progetto (Running in the fabrik) avviato dalla compagnia nel 2008, racconta una storia che potremmo definire universale e sempiterna: l’alienazione e la solitudine forzata non sono un’esclusiva delle fabbriche, le condizioni disumane in cui lavorano gli operai dell’Ilva di Taranto, realtà dalla quale Instabili Vaganti ha voluto prendere spunto (anche per la vicinanza biografica tra Anna Dora Dorno e l’impianto siderurgico pugliese), possono estendersi e metaforicamente abbracciare tutte quelle vite che perdono il controllo di se stesse continuando così a garantire il funzionamento del sistema. Il pericolo di lasciarsi inghiottire è sempre attuale, fuori e dentro la fabbrica. L’eremita solitario è l’emblema di questo processo, i suoi gesti sono ripetuti decine di volte, fino all’estremo. È uno schizofrenico (come Jakob Michael Reinhold Lenz, al quale Instabili Vaganti ha già dedicato un progetto da cui poi è nato questo di Running in the fabrik). Il suo agire, il suo parlare riproducono inevitabilmente i ritmi della fabbrica e da quella ripetitività, brutale meccanizzazione, viene fuori un uomo che ha perso il contatto con se stesso, che si tocca affannosamente la faccia e non si riconosce più. “Corri, lavora, agisci, produci, crea”: il mantra dell’eremita odierno che si trasforma sulla scena in canto, sempre più affannoso. Il corpo dell’uomo operaio è quello di Nicola Pianzola, protagonista della scena, e il canto è quello di Anna Dora Dorno che, insieme alle musiche eseguite dal giovanissimo compositore Andrea Vanzo, ora asseconda i ritmi della fabbrica guidando il protagonista verso la sua progressiva spersonalizzazione, ora dolcemente sembra suggerire tempi diversi, immagini più luminose, mondate di tutto il grasso e il sudore. Sono i momenti in cui l’illusione è massima, quelli in cui l’eremita, in un guizzo improvviso di umanità, si scopre capace di sognare, ed è quasi un ritorno alla materia viva, pulsante, alla sensazione di corpo nuovo e pulito. È centrale qui il contrasto tra movimento inorganico, disanimato, alienato ed alienante e la materia organica, viva di cui l’uomo è composto, nonostante i continui attentati della contemporaneità di ogni tempo […]
Come un disco rotto Giulia Odoardi per Osservatorio critico, Kilowatt festival 2011 […] Una voce di donna, all’angolo della scena, accompagnata da un piano, sussurra: “C’era una volta…”. Comincia così il racconto della compagnia Instabili Vaganti. È la storia dell’eremita contemporaneo che subitamente appare dal buio, in cima a un eremo di ferro. È un operaio, un uomo alienato da un lavoro dal ritmo sempre uguale che lo costringe a vivere ogni giorno come un disco rotto. Lo stesso disco rotto che inizia a girare sulla scena. “Lavora, produci, crea. Tu sei un corpo operaio”. Una vita che costringe a non pensare è una vita che obbliga a evadere in ogni modo possibile e immaginabile. Ma quando tutto il corpo fa male e la mente soffre, nemmeno sognare è più possibile. L’impatto cattura lo spettatore e lo ipnotizza. Le parole continuano a cascata di sottofondo: sono bollettini di guerra, morti bianche, numeri di spersonalizzazione […]
Kilowatt Festival Michele Rossi per Sansepolcro informa, Kilowatt festival 2011 […] In questo lavoro il ritmo si è dimostrato sempre più incalzante con l’attore principale, Nicola Pianzola che ha dato grandissima espressività e pathos alla recitazione tanto da rendere partecipe lo spettatore nei disagi vissuti dall’individuo prigioniero di una società che vive sull’industria, sul lavoro e sulla produzione seriale. Pianzola ha ulteriormente rinforzato l’elemento recitativo con quello più propriamente fisico attraverso movimenti ripetuti e di forte impatto visivo […]